Mostra al Chiostro del Bramante
BACON, FREUD,
LA SCUOLA DI LONDRA
Opere della TATE
Chiostro del Bramante
26 settembre 2019 – 23 febbraio 2020
È possibile rispecchiarsi nelle immagini e nella realtà delle opere esposte nelle sale del Chiostro del Bramante? Credo di sì, perché la raffinata mostra su Bacon, Freud e la Scuola inglese, restituisce in maniera ipnotica le inquietudini ma anche le domande del mondo contemporaneo.
Una pittura colta e complessa che indaga all’interno dell’arte stessa ponendosi l’eterna domanda: cos’è la nostra realtà?
Il grande Francis Bacon in un’intervista parla dell’origine del suo amore per la pittura. Da giovane era stato molto colpito da un quadro di Poussin (La strage degli innocenti); a Parigi aveva coltivato un’ammirazione sconfinata per Picasso e aveva cominciato a maturare la decisione di diventare pittore. Tuttavia, ciò che lo spinse davvero a cominciare a dipingere fu una macelleria… “Mi è scattato qualcosa davanti al banco della macelleria dei magazzini Harrod’s”, afferma l’artista, e aggiunge “… noi siamo carne, siamo potenziali carcasse. Ogni volta che mi reco dal macellaio mi stupisco di non essere lì io al posto dell’animale”.Come il personaggio di Jocker interpretato magistralmente da Joaquin Phoenix nel film di Todd Phillips, Bacon ci mostra immagini frutto del caso, del gioco, della sorte, del riso e dell’eccesso.
Desiderio di provocazione, filosofia nichilista professata dal discendente del grande Bacone, ma anche tanta ironia e teatralità così radicata nella tradizione anglosassone che fanno di questo figlio del secolo uno dei grandi interpreti del nostro tempo.
E se le immagini di Bacon sono ormai icone moderne Lucien Freud, nipote del celebre Sigmund, risalta come uno dei più grandi ritrattisti del novecento. Dipinge nel suo studio, lentamente, pulendo il pennello in una pezza lasciando sul pavimento pile di stracci sporchi che spesso appaiono nelle sue tele. I corpi, le persone, sono lì, messi a nudo, con la loro carne, le loro imperfezioni, uomini e donne, giovani e vecchi, ribaltando il senso classico del nudo in un nuovo umanesimo che nulla concede all’ideale, il grado zero dei sensi.
“So che la mia idea della ritrattistica deriva dall’insoddisfazione per i ritratti che assomigliano alle persone. Non voglio ottenere solo una somiglianza, come un imitatore, ma ritrarlo come un attore»
Non meno affascinanti sono le opere di Frank Aurebach nato nella Germania nazista e salvato dai genitori in Inghilterra a sette anni, bambino ebreo a rischio di persecuzione da parte dei nazisti, non li avrebbe più rivisti, i genitori, perché morirono entrambi in un campo di concentramento: costretto a non avere memoria e stare immerso nel presente, è sulla totalità del presente, e sulla sua necessità di un precedente, che l’artista ha costruito tutta la sua ricerca pittorica. Sulle proprie opere ritorna, cancellando e ridipingendo, come una riflessione sul tempo, sulla caducità e sul cambiamento; ma soprattutto sullo sguardo, che nel percorso si arricchisce anziché perdersi: se negli anni sessanta trionfava lo spessore e negli anni novanta la luce, è forse perché – al di là dell’unicità di ciascuna opera – lo sguardo è cambiato e il cambiamento va visto.
Memoria e sensazione giocano alla pari nelle opere di Michael Andrews che evoca atmosfere rarefatte , colori scuri e densi come il fumo o pungenti ma capaci comunque di rendere i dettagli e particolari in una maniera sorprendente. E ancora le opere di Leon Kossoff e di Paula Rego con le loro memorie d’infanzia e familiari, paesaggi urbani tutto questo in una piccola ma preziosa mostra che non può lasciarci indifferenti.
Testo della dott.ssa Maria Rita Ursitti
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