Descrizione: Testaccio – Veduta del Monte dei Cocci Anno: 1940/45 Fotografo: (?) Fonte: Archivio Fotografico Comunale-Museo di Roma Aggiunta da Maurizio Rauco
Monte dei cocci Il nome di Monte Testaccio deriva dal latino testa, ovvero cocci.Questo riferimento si deve al materiale con il quale fu artificialmente innalzato e cioè le anfore scartate dal limitrofo insediamento porto sulla sponda del Tevere; ha un perimetro di 700 metri circa, un’altezza massima di 45 metri ed una superficie di circa 22.000 metri quadrati con circa 25 milioni di anfore accatastate. Grazie alle datazioni ed alle indicazioni commerciali reperibili sui frammenti dei cocci, è possibile stimare la data degli scarichi compresa fra il 140 d.C. e la metà del III secolo. a maggior parte delle anfore accatastate, probabile i 4/3 dei frammenti, sono anfore olearie betiche (la Betica era provincia romana situata nell’attuale Andalusia). I rimanenti frammenti sono anfore olearie africane. Ma la memoria del monte e del sito circostante è legata soprattutto alle feste del carnevale, il ludus Testaccie, documentato per la prima volta nel 1256 durante il pontificato di Alessandro IV e rinnovato ogni anno fino al 1470 circa.I giochi che vi si praticavano, assai movimentati e cruenti, consistevano nel lanciare animali come maiali, tori e cinghiali giù dal monte dove i lusores se li contendevano per trafiggerli con la spada e venirne in possesso.Nel 600’ il monte cambiò volto, e precisamente quando Pietro Ottini e Domenico Coppitelli acquistarono il terreno adiacente al colle per aprirvi “grottini” destinati ad osterie che via via aumentarono di numero (oggi sono destinati a famosi ristoranti e locali notturni).Dalle feste medioevali dei tori e dell’albero della cuccagna si passò ai banchetti gastronomici delle famose Ottobrate romane.Durante la seconda guerra mondiale vi fu anche installata un’intera batteria antiaerea, smantellata alla fine del conflitto; ancora oggi sono visibili resti di quattro piattaforme per i cannoni antiaerei.
Alto m. 54 e con una circonferenza di Km. 1, il monte è formato da testae, cocci, in prevalenza frammenti di anfore usate per il trasporto delle merci, sistematicamente scaricati e accumulati con ogni probabilità tra il periodo augusteo e la metà del III sec. d.C. secondo quanto stabilito dagli ultimi studi. A questi si debbono anche importanti osservazioni sulla natura e le modalità degli scarichi, risultati finora composti soprattutto da pezzi di anfore olearie della Betica (odierna Andalusia) e della Bizacena (Africa), nonché la valida spiegazione data sulla presenza di calce sui cocci che, destinata ad eliminare gli inconvenienti causati dalla decomposizione dell’olio, ha rappresentato anche un ottimo elemento di coesione e di stabilità per il monte attraverso il tempo. Un accumulo di tale entità ed altezza fu reso possibile dalla presenza di una prima rampa e di due stradelle percorse dai carri ricolmi di cocci e di anfore frammentarie, molte delle quali conservano il marchio di fabbrica impresso su una delle anse, mentre altre presentano i tituli picti, note scritte a pennello o a calamo con il nome dell’esportatore, indicazioni sul contenuto, i controlli eseguiti durante il viaggio, la data consolare. Pertanto il monte a tutt’oggi si configura come fonte storico-documentaria di prima mano sullo sviluppo economico dell’impero romano, sulle relazioni commerciali tra Capitale e province, nonché sulle abitudini alimentari nell’antichità.
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Monte dei cocci
Il nome di Monte Testaccio deriva dal latino testa, ovvero cocci.Questo riferimento si deve al materiale con il quale fu artificialmente innalzato e cioè le anfore scartate dal limitrofo insediamento porto sulla sponda del Tevere; ha un perimetro di 700 metri circa, un’altezza massima di 45 metri ed una superficie di circa 22.000 metri quadrati
con circa 25 milioni di anfore accatastate. Grazie alle datazioni ed alle indicazioni commerciali reperibili sui frammenti dei cocci, è possibile stimare la data degli scarichi compresa fra il 140 d.C. e la metà del III secolo. a maggior parte delle anfore accatastate, probabile i 4/3 dei frammenti, sono anfore olearie betiche (la Betica era provincia romana situata nell’attuale Andalusia). I rimanenti frammenti sono anfore olearie africane. Ma la memoria del monte e del sito circostante è legata soprattutto alle feste del carnevale, il ludus Testaccie, documentato per la prima volta nel 1256 durante il pontificato di Alessandro IV e rinnovato ogni anno fino al 1470 circa.I giochi che vi si praticavano, assai movimentati e cruenti, consistevano nel lanciare animali come maiali, tori e cinghiali giù dal monte dove i lusores se li contendevano per trafiggerli con la spada e venirne in possesso.Nel 600’ il monte cambiò volto, e precisamente quando Pietro Ottini e Domenico Coppitelli acquistarono il terreno adiacente al colle per aprirvi “grottini” destinati ad osterie che via via aumentarono di numero (oggi sono destinati a famosi ristoranti e locali notturni).Dalle feste medioevali dei tori e dell’albero della cuccagna si passò ai banchetti gastronomici delle famose Ottobrate romane.Durante la seconda guerra mondiale vi fu anche installata un’intera batteria antiaerea, smantellata alla fine del conflitto; ancora oggi sono visibili resti di quattro piattaforme per i cannoni antiaerei.
tratto dal sito wwwtestaccio.roma.it
Alto m. 54 e con una circonferenza di Km. 1, il monte è formato da testae, cocci, in prevalenza frammenti di anfore usate per il trasporto delle merci, sistematicamente scaricati e accumulati con ogni probabilità tra il periodo augusteo e la metà del III sec. d.C. secondo quanto stabilito dagli ultimi studi.
A questi si debbono anche importanti osservazioni sulla natura e le modalità degli scarichi, risultati finora composti soprattutto da pezzi di anfore olearie della Betica (odierna Andalusia) e della Bizacena (Africa), nonché la valida spiegazione data sulla presenza di calce sui cocci che, destinata ad eliminare gli inconvenienti causati dalla decomposizione dell’olio, ha rappresentato anche un ottimo elemento di coesione e di stabilità per il monte attraverso il tempo.
Un accumulo di tale entità ed altezza fu reso possibile dalla presenza di una prima rampa e di due stradelle percorse dai carri ricolmi di cocci e di anfore frammentarie, molte delle quali conservano il marchio di fabbrica impresso su una delle anse, mentre altre presentano i tituli picti, note scritte a pennello o a calamo con il nome dell’esportatore, indicazioni sul contenuto, i controlli eseguiti durante il viaggio, la data consolare.
Pertanto il monte a tutt’oggi si configura come fonte storico-documentaria di prima mano sullo sviluppo economico dell’impero romano, sulle relazioni commerciali tra Capitale e province, nonché sulle abitudini alimentari nell’antichità.