J.W. Goethe – Viaggio in Italia: il Carnevale – Le Maschere

LE MASCHERE

Ed ecco le maschere sempre più numerose. Giovinotti travestiti da donne del popolino, attillati in costumi di festa, col seno scoperto, audaci fino all’insolenza, sono di solito i primi a far la loro comparsa. Fanno carezze agli uomini in cui s’imbattono, trattano in confidenza e senza riguardi le donne come loro pari, si abbandonano insomma a ogni licenza, come loro suggerisce il capriccio, lo spirito o la volgarità. Ricordo tra gli altri un giovanotto che sosteneva stupendamente la parte di donna appassionata e battagliera, che non c’era modo di calmare, e che continuava a bisticciarsi per tutto il Corso, apostrofando tutti, mentre i suoi compagni sembrava si dessero un gran da fare per ammansirla.
Ed ecco arrivar di corsa un pulcinella, con un gran corno che gli spenzola tra i nastri screziati intorno ai fianchi. Discorrendo con le donne, riesce ad imitare insolentemente, mediante un semplice gesto, la figura dell’antico dio degli orti – e siamo nella Santa Roma! – mentre la sua monelleria suscita più che disgusto, ilarità. Ed eccone un altro che, più modesto e più soddisfatto, si porta a spasso la sua bella. Poiché le donne prendono altrettanto gusto a mostrarsi in abiti da uomo, quanto gli uomini in abiti da donna, non mancano anch’esse di acconciarsi nel popolare costume di pulcinella e non si può negare che, in questa figura ambigua, riescano oltre modo interessanti.

A passo svelto e declamando come in tribunale, ecco farsi largo tra la folla un avvocato; parla gridando alle finestre, afferra i passanti, mascherati o no, minaccia a tutti di fare un processo, raccontando ora una filastrocca di delitti che avrebbero commesso, ora mostrando un’esatta specifica dei suoi onorari. Alle dopnne fa una predica contro i cicisbei, alle ragazxze contro i loro innamorati; consulta un volume che porta con sè, mette fuori de documenti e tutto questo con una voce in falsetto e con lo scilinguagnolo bene sciolto. Cerca insomma di confondere e metter tutti nel sacco; e quando si crede che se ne vada, allora ritorna; affronta quello, che se n’è già andato; se poi urta in un collega, la pazzia raggiunge il colmo.
Ma tutti costoro non riescono a fissare a lungo su di sé l’attenzione del pubblico; l’impressione più folle resta assorbita dalla stessa moltitudine e dalla diversità della folla.
I quaccheri, in particolare, non fanno tanto chiasso ma non interessano meno degli avvocati. La maschera del quacchero sembra essere diventata così popolare per la facilità con cui si posson trovare costumi francesi all’antica da ogni rigattiere.
I principali requisiti per questa maschera sono appunto gli abiti francesi all’antica, purchè ben conservati e di stoffa fine. Sono quasi sempre di velluto o di seta; le giubbe si portano di broccato o ricamate. Il quacchero dev’essere corpulento per natura, e la maschera del viso paffuta e col taglio degli occhi piccolo; la parrucca deve avere delle piccole code bizzarre e il cappello, anche piccolo, quasi sempre dei bordi.

E’ evidente che una simile figura assomiglia molto al buffo caricato dell’operetta; e come quest’ultimo rappresenta per lo più lo sciocco innamorato e gabbato, così i quaccheri sostengono la parte dei bellimbusti più ridicoli. Saltano qua e là con grande leggerezza sulla punta dei piedi e portano dei grossi anelli neri senza vetro in luogo di lenti, e con questi sbirciano in tutte le carrozze e a tutte le finestre. Hanno per costume di fare una goffa e profonda riverenza e, incontrandosi tra di loro, esprimono la loro gioia saltando più volte a piedi giunti ed emettendo un suono stridulo, penetrante, inarticolato, prodotto press’a poco dalle consonanti brr con questo si dànno spesso il segnale, che vien ripetuto dai più vicini, in modo che in pochi minuti questo strillo corre per tutto quanto il Corso. Dei monelli petulanti soffiano nel frattempo entro certe conchiglie ritorte, lacerando gli orecchi con suoni insopportabili.

E’ chiaro che, data l’angustia dello spazio e la somiglianza di tante maschere (vi possono esser sempre alcune centinaia di pulcinelli e circa cento quaccheri che scorrazzano su e giù pel Corso) ben pochi possono aver la pretesa di dar nell’occhio e di essere particolarmente notati.

Le maschere devono inoltre far presto la loro comparsa sul Corso; i più escono di casa per divertirsi, per darsi alla pazza gioia e per godere nel miglior modo possibile la libertà di queste giornate.
Sono specialmente le ragazze e le maritate, che in questi giorni trovano il modo di divertirsi a loro capriccio. Tutte vogliono assolutamente uscir di casa e mascherarsi comunque sia; e se ben poche siano in condizione di sobbarcarsi a gravi spese, tutte si ingegnano a escogitar ogni mezzo di mascherarsi, più ancora che di farsi belle.
Molto facili a procurarsi sono le maschere da mendicanti maschi e femmine. Per questo si richiedono soprattutto bei capelli, una maschera per il viso completamente bianca, un recipiente di argilla appeso a un nastro, un bastone e un cappello in mano. Passano in aria di compunzione sotto le finestre o davanti ai pedoni, ricevendo, in luogo di elemosine, confetti, noci o altre inezie.

Altre si prendono ancor meno fastidio: si gettano sulle spalle una pelliccia o si offrono in graziosa veste da camera con la maschera al solo viso. Vanno per lo più senza uomini e, per tutt’arma offensiva e difensiva, portano una leggera scopetta fatta con l’efflorescenza delle canne, con la quale in parte tengono a bada gli importuni, ma in parte, e con gesto abbastanza provocante, solleticano in viso i conoscenti e i non conoscenti che passeggiano senza maschera.
Quando uno, di cui si voglian prender giuco, capita nelle mani di quattro o cinque di queste femmine, non riesce a cavarsela così facilmente. La folla gli impedisce di scappare e dovunque si rivolga si sente quel tale spazzolino sotto il naso. Difendersi sul serio contro queste o simili burle, sarebbe molto epricoloso perchè le maschere sono inviolabili ed ogno guardia ha l’ordine di proteggerle.

Così anche gli abiti più comuni e di ogni classe sociale possono servir da maschere. I ragazzi di stalla si fanno largo con le loro grosse spazzole a strigliare il dorso di chi a loro pare e piace. I vetturini offrono i loro servogi con la petulanza loro tutta propria. Più graziosi sono i costumi delle donne della campagna, delle frascatane, dei pescatori, dei marinai e degli sbirri napoletani e dei greci.

Qualche volta imitano una maschera del teatro; alcuni non si dànno altra pena che di avvolgersi in un tappeto o in un lenzuolo, annodati sulla testa. Questi fantasmi bianchi han per vezzo di contrastare la via ai passanti, spiccano dei salti in loro presenza e credono così di rappresentare gli spettri. Alcuni si distinguono per le più stravaganti accozzaglie di costumi: ma il tabarro è sempre ritenuto per la maschera più elegante, qppunto eprchè non ha nulla che dia nell’occhio.
Maschere umoristiche e satiriche sono molto rare, perchè queste hanno una ragione d’esser per sé e vogliono essere particolarmente osservate. Ho visto però pulcinella camuffato da becco cornuto. Le corna erano mobili, ed egli poteva cacciarle e ritirarle a piacer suo come fa la lumaca. Bastava che passasse sotto le finestre d’una coppia di freschi sposi e lasciasse vedere solo la punta di un corno, o che sotto un’altra finestra le cacciasse fuori tutte e due quanto erano lunghe, facendo tintinnare bene bene dei sonagli appesi alle estremità, perchè il pubblico intento andasse in visibilio o scoppiasse in una solenne risata.
Ecco ora un indovino che si mescola tra la folla, mostra al pubblico un libro zeppo di numeri e ne rinfocola la passione per il giuoco del lotto.
Ecco un altro che se ne sta fra la calca con due facce; non si capisce qual sia il suo davanti, quale il di dietro, e se ne vada o se ne venga”

J.W. Goethe, Roma 1788

6 Risposte

  1. anche se le maschere nascondono i volti ma non le anime delle persone

  2. Anche le ” gentildonne” si lasciavano andare in simili libertà’…

  3. TI CONOSCO MASCHERINA

    Il Carnevale romano, si festeggiava a Roma nel periodo dell’anno che precede la Quaresima; fortemente ispirato ai Saturnalia degli antichi Romani, il carnevale fu uno dei principali festeggiamenti della Roma papalina. L’antica tradizione folkloristica di Roma consisteva in una grande festa pubblica che durava circa otto giorni e si concludeva la notte del Martedì Grasso, con l’avvento della Quaresima. I festeggiamenti, però, erano tutt’altro che garantiti: ogni anno si doveva attendere che il papa re con un editto apposito concedesse la licenza di tenerli. In genere nei Giubilei (o Anni Santi) l’intero programma veniva soppresso e sostituito da celebrazioni liturgiche. Anche la morte di un papa poteva far sospendere le feste (ad esempio, quella di Leone XII, nel 1829, costò ai romani il Carnevale di quell’anno). Inoltre, durante quei giorni, le autorità temevano rivolte, perché la possibilità di circolare col volto coperto da maschere non consentiva il facile riconoscimento di sovversivi e ricercati. Quindi in prossimità di provvedimenti impopolari (nuove tasse, o altro) ogni scusa era buona per abolire le feste in costume.L’importanza della festa per i romani veniva accresciuta dal fatto che solo durante questo breve periodo era consentita la trasgressione di alcune rigide disposizioni in materia di ordine pubblico, in gran parte basate su codici religiosi. Per le vie di Roma si snodavano spontaneamente cortei in maschera in cui si mischiavano persone di ogni classe sociale con l’unico intento di divertirsi e trasgredire perché “semel in anno licet insanire“Insomma, a Carnevale ci si poteva prendere qualche libertà, anche verso la classe dirigente (clero e nobili), che in altri periodi dell’anno sarebbero costate la galera, o peggio. Una volta, infatti, il travestimento aveva uno scopo ben preciso che oggi è andato perduto: nascondendosi dietro ad una maschera e celando in questo modo la propria identità, ciascuno aveva la possibilità di comportarsi come meglio credeva e, soprattutto, come non avrebbe mai avuto il coraggio di comportarsi a viso scoperto. Di qui deriva la famosa espressione “Ti conosco, mascherina!” che veniva pronunciata allorché taluno veniva riconosciuto nonostante il travestimento carnascialesco.

  4. Molto bella anche la descrizione del carnevale romano nel CONTE DI MONTECRISTO ?

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