Il mercato del pesce e il cottìo di Natale

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Nella notte tra il 23 e il 24 dicembre si svolgeva a Roma uno spettacolo che costituiva un’attrattiva irresistibile per signore, signori, popolani e forestieri: il cottìo di Natale o vendita all’asta del pesce.
La tradizione imponeva che la cena della vigila di Natale fosse a base di pesce e verdure e proprio per organizzare il cenone si cominciava la vendita del pesce, il cottìo (dal latino medievale coctigium) già dalle primissime ore del mattino del 23 dicembre fino a tutto il 24, o meglio fino alla vendita totale di tutto il pesce che proveniva da Anzio, Nettuno e Civitavecchia. La vendita si svolgeva in forma di asta secondo modalità tradizionali e con termini comprensibili solo ai cottiatori e agli acquirenti che erano venditori al minuto, gestori di trattorie, o i cuochi delle grandi famiglie romane. Da un sonetto del Belli del 1845 sappiamo alcuni dei rezzi del pesce:
Eh, ll’aliscette e la frittura a nove, / Li merluzzi e le trije a diesci e mmezzo / Le linguettole e rrommo a ddù’ carlini, / A un papetto la spigola e r’dentale; / E su sto tajjo l’antri pesci fini.
L’atmosfera generale che si creava intorno a questa vendita trasformava il tutto in una sorta di “spettacolo” a cui assistevano non solo i ceti più bassi della popolazione, ma anche i forestieri e rappresentanti dell’alta società che, in questa occasione, si recavano addirittura al mercato in abiti da sera per assistere a questo rito così caratteristico.
Il luogo sicuramente più importante a Roma per la vendita del pesce era il Portico d’Ottavia dove il pesce veniva venduto su delle tavole marmoree di dimensioni standard affittate a caro prezzo dalle nobili famiglie romane. Tutti i pesci di dimensioni maggiori venivano privati della testa che, come ricorda anche un’iscrizione, divenivano di diritto di proprietà dei conservatori capitolini (consiglieri comunali del Papa in età medievale) che così usavano queste teste per le loro zuppe.
Altri mercati del pesce a Roma, agli inizi dell’800, erano al Pantheon, in via del panico e al Corso ma l’opinione pubblica cominciava a ritenere poco compatibile la presenza dei banchi di vendita del pesce con una normale vita cittadina oltre che con la salvaguardia dei monumenti più illustri. Proprio per tutelare il decoro del Pantheon Pio VII (1800-1823) fece costruire, nel 1821, in via delle Coppelle, una nuova pescheria vietando nello stesso tempo che si vendesse pesce in altri luoghi. Rimanevano però ancora in vita i mercati di pesce storici più importanti, quello del Portico d’Ottavia e quelli delle due piazze de’ Monti e di Scossacavalli (quest’ultima scomparsa a seguito delle demolizioni per l’apertura di via della Conciliazione).
Con l’unità d’Italia si decise di realizzare un mercato più moderno e funzionale. Si chiuse quindi definitivamente il mercato del pesce del Portico d’Ottavia e si aprì quello a piazza San Teodoro. Non solo il nuovo mercato era dotato di botteghe, di pulpiti per i banditori , di illuminazione notturna, di acqua e di una strada per il passaggio dei carri ma la sua ubicazione consentiva di evitare che la merce attraversasse la città perchè il pesce arrivava direttamente da Porta San Paolo e da Porta Portese.
Questo mercato fu chiuso nel 1927 quando fu trasferito ai nuovi mercati generali sulla Via Ostiense. In tutti questi spostamenti la tradizione del cottìo non si perse e continuò anche ai mercati generali dove potevano entrare anche privati cittadini per gustare cartocci di pesce fritto offerto per l’occasione dai grossisti.

per Roma Sparita nota a cura di Sabrina Di Sante

Una risposta

  1. Io ci sono andato più di una volta al cottìo

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