L’invasione degli storni – Italo Calvino
C’è una cosa straordinaria da vedere a Roma in questa fine d’autunno ed è il cielo gremito d’uccelli. Il terrazzo del signor Palomar è un posto d’osservazione, da cui lo sguardo spazia sopra i tetti per un’ampia cerchia d’orizzonte. Di questi uccelli, egli sa solo quello che ha sentito dire in giro: sono storni che si raccolgono a centinaia di migliaia, provenineti dal Nord, in attesa di partire tutti insieme per le coste dell’Africa. Di notte dormono sugli alberi della città, e chi parcheggia la macchina sul Lungotevere, al mattino, è obbligato a lavarla da cima a fondo.
Dove vadano durante il giorno, che funzione abbia nella strategia della migrazione questa sosta prolungata in una città, cosa significhino per loro questi immensi raduni serali, questi caroselli aerei come per una grande manovra o una parata, il signor Palomar non è ancora riuscito a capirlo. Le spiegazioni che si danno sono tutte un po’ dubbiose, condizionate da ipotesi, oscillanti tra varie alternative; ed è naturale che sia così, trattandosi di voci che passano di bocca in bocca, ma si ha l’impressione che anche la scienza che dovrebbe confermarle o smentirle sia incerta approssimativa. Stando così le cose, il signor Palomar ha deciso di limitarsi a guardare, a fissare nei minimi dettagli il poco che riesce a vedere, tenendosi alle idee immediate che gli suggerisce ciò che vede.
Nell’aria viola del tramonto egli guarda affiorare da una parte del cielo un pulviscolo minutissimo, una nuvola d’ali che volano. S’accorge che sono migliaia e migliaia: la cupola del cielo ne è invasa. Quella che fin qui gli era sembrata un’immensità tranquilla e vuota si rivela tutta percorsa da presenze rapidissime e leggere.
Rassicurante visione, il passaggio degli uccelli migratori, associato nella nostra memoria all’armonico succedersi delle stagioni; invece il signor Palomar sente come un senso d’apprensione. Sarà perchè questo affollarsi del cielo ci ricorda che l’equilibrio della natura è perduto? O perchè il nostro senso d’insicurezza proietta dovunque minacce di catastrofe?”
Da “Palomar” di Italo Calvino
Penso che Calvino non avrebbe mai messo un accento su qui. Sarà sbucato fuori nel copia/incolla.
Di migrazioni ne capisco ben poco. Forse su quella che riguarda gli uomini che si spostano da un continente all’altro potrei dire qualcosa visto,tra l’altro,che in Italia il problema è diventato pressante per i continui sbarchi di gente africana,di est- europei e mediorientali. Nasce il dubbio se non ci siano organizzazioni criminali o pseudo umanitarie che ci speculino sopra !
Ma sugli storni credo che Calvino abbia centrato il problema. Forse in qualche modo si è rotto l’equilibrio naturale che per millenni ha regolato la presenza nei luoghi abitati degli uccelli in genere. Per esempio,io ho notato che i piccioni non hanno più nessunissimo timore della presenza dell’uomo e delle macchine. A parte quelli stanziali nelle piazze dove ricevono il mangime dai turisti o passanti,vedo che tali animali non hanno remore a depositarsi sulle soglie delle finestre malgrado la presenza di persone all’interno delle camere. Non mi sembra che prima fosse cosi !
Non vorrei che l’eccessivo amore per gli animali ( che non sarebbe male riversare sugli esseri umani in difficoltà ) di gruppi di persone iscritte alle più fantasiose liste che reclamano la protezione di questo o quell’uccello , abbia prodotto un superaffollamento di volatili non certo necessario e funzionale alla vita degli uomini.
Spero di non urtare la sensibilità di costoro, ma credo che il rispetto per i nostri simili venga prima di quello degli uccelli . O sbaglio ?
Il fenomeno degli storni, la sera, si chiama ” la calata “. Vanno a dormire sugli alberi, specialmente su lungotevere.-