La Terza Roma


La terza Roma nun s’intenne mica
che da Romolo in qua ce so’ tre Rome:
naturalmente je se dà sto nome
pe’ potella distingue dall’antica.

De Roma Nostra, Dio la benedica,
nun ce n’è che una sola: ma siccome
fu impastata, je successe come
succede co’ la crosta e la mollica.

Infatti sur più bello d’un lavoro,
te ritrovi l’Impero giù in cantina
con una strada che va dritta al Foro:

e scopri chre, presempio, la finestra
indove s’affacciava Messalina
corrisponne a ‘na chiavica maestra.

Er tempo, che lavora co’ la lima,
con una mano scrive e l’altra scassa,
e succede ch’er postero sfracassa
quello che l’antenato ha fatto prima.

Così vedrai che fra mill’anni e passa
rifaranno la stessa pantomima,
e tutto quello ch’oggi sta più in cima
sarà guardato come Roma bassa.

E forse un cicerone der tremila
dirà a un ingrese: – Vede, mosiù mio,
quer Cammerone co’ li posti in fila?

Laggiù, in un tempo, se parlava troppo,
e mò se sente solo er gnavolìo
de li gatti ch’aspetteno er malloppo

Trilussa

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