Il «gavettone» di Fontana di Trevi


La scorsa estate a Fontana di Trevi ho scoperto l’esistenza del « gavettone ».
Dirò subito, per fugare facili equivoci, che i soldati con questo maggiorativo del recipiente con cui bevono durante il rancio, non c’entrano affatto. È pur vero che intorno al monumento di Niccolò
Salvi i militari sono di casa, essendo numerosa la loro presenza, ma con il « gavettone » essi non hanno nulla a che fare.
Nelle serate di luglio e di agosto la calura a Roma diviene insopportabile, l’atmosfera afosa; la gente, allora, prende letteralmente d’assalto i luoghi che per le loro caratteristiche ambientali, offrono un certo refrigerio, o, almeno, dànno l’illusione di poter combattere la torrida temperatura.
Fontana di Trevi, questo stupendo monumento d’acqua, è il posto che più di ogni altro ha il potere di calamitare i romani, che si mescolano con la folla di turisti convenuti nell’urbe da tutto il
mondo, per trascorrervi le loro vacanze. Gli stranieri in visita alla Città Eterna hanno il capolavoro del Salvi tra i loro itinerari d’obbligo.
Un sondaggio effettuato da una importante compagnia di viaggi, ha accertato che San Pietro, il Colosseo, Fontana di Trevi, si contendono la palma del monumento romano più popolare in campo internazionale.
Inutile meravigliarsi, quindi, se ad ogni ora del giornò e, soprattutto, della notte estiva, piazza di Trevi brulichi di un’umanità cosmopolita, nella quale si confondono i quiriti, di nascita o di elezione, con particolare riferimento a giovani di aitante e robusta presenza fisica, che si aggirano intorno al sempre più appetibile elemento femminile.
La gradinata prospiciente la vasca si trasforma in una balconata d’eccezione, con la gente che si coatende a forza lo spazio per ammirare, stando seduti a stretto contatto di spalla, uno degli scenari più suggestivi del mondo.
Il bordo della fontana è un invitante sofà, dove i più, purtroppo, fanno a gara a massificarsi in un indecoroso spettacolo di pediluvio di gruppo, fra la rumorosa allegria degli stranieri, che di questa poco edificante moda sono i protagonisti.
Si partecipa ad un rituale greve, ridanciano, ad una sagra strapaesana di sapore pagano, che contagia un po’ tutti.
Per giungere alla vasca bisogna superare un vero muro umano: riuscire a gettare nell’acqua la tradizionale moneta, benaugurante del certo ritorno nella Capitale, è un’impresa di non poco conto.
I turisti non s’accontentano del semplice lancio della moneta, vogliono fissare sulla pellicola il souvenir del simpatico rito propiziatorio; per questa documentazione non c’è che l’imbarazzo della scelta.
A Fontana di Trevi stazionano, secondo turni rigidamente stabiliti, nuclei di fotografi specializzati, che maneggiano macchine e lampeggiano flashes, compiendo vere acrobazie tra la folla. Questi modesti artigiani dell’obiettivo, una componente di lavoratori che vivono del turismo, conoscono a menadito i segreti del mestiere, sanno per esperienza dove debbono collocare i clienti perché l’inquadratura risulti più efficace dal punto di vista dello sfondo
ambientale.
Il vero problema sta nell’ottenere il necessario ricambio delle persone che, trascorrendo interminabili ore sedute lungo i gradini che portano alla fontana, impediscono un flusso costante e rinnovato di visitatori.
Tutto ciò, in parole povere, provoca un fermo del lavoro e, quindi, si traduce in un mancato guadagno per i fotografi ambulanti.
Ecco, dunque, l’invenzione del « gavettone», che nel suo genere esprime, sia pure in modo singolare, la furberia, l’inventiva, l’arte di arrangiarsi, prerogative che ai romani non difettano.
Per porre in essere l’operazione « gavettone» è necessario ricorrere ad una capace busta di plastica, di quelle in distribuzione presso i supermercati. Una volta in possesso del contenitore, esso sarà riempito d’acqua; poi bisognerà attendere il momento propizio perché scatti il secondo tempo di uno strattagemma che non potrebbe essere più spregiudicato.
Ormai è chiaro il significato del « gavettone», nonché la sua finalità. I fotografi di Fontana di Trevi, rivelatisi diabolici personaggi, hanno realizzato un modo sicuro e sbrigativo per liberare la platea dai troppo affezionati clienti delle serate estive.
Il complice, quello che è in possesso dell’involucro colmo d’acqua, stando lungo la sommità delle gradinate, in posti sempre diversi, ovviamente, e con la collaborazione di alcuni amici, che provvedono a nasconderlo, lascia andare il contenuto liquido della busta di plastica.
Questa specie di diga è azionata con sapienza, in modo che l’acqua scenda lentamente, trasformandosi in una impertinente cascatella, la cui avanzata si fa inarrestabile quanto subdolamente improvvisa.
Chi era in cerca di refrigerio a Fontana di Trevi non poteva pretendere tanto, allorché si accorge che il… fondo dei pantaloni è letteralmente intriso di un’umidità non prevista.
È facilmente immaginabile la reazione di coloro che si ritrovano con i calzoni gocciolanti. Si è in presenza di scenette d’irresistibile umorismo, che possono degenerare nel peggio.
La gente si alza di scatto, portandosi le mani nella parte terminale della schiena, mentre vengono lanciati sguardi frementi all’indirizzo dei vicini. Se in prossimità sostano innocenti bimbi si guarda ad essi come a probabili autori del misfatto, ma poi ci si rende conto che tutti sono rimasti coinvolti in un ammollo fuori programma.
Ho assistito ad episodi di esilarante comicità, mentre, sornioni e con l’aria più disinvolta, i fotografi, autori di questo scherzo decisamente pesante, riprendevano la loro attività con altri turisti, che nel frattempo si erano portati vicino alla fontana.
In virtù del « gavettone » la clientela registrava un provvidenziale ricambio, anche se ottenuto con sistemi non certo ortodossi. Ma è noto che il commercio deve essere alimentato con iniziative sempre nuove.
Quanto a fantasia, i fotografi di Fontana di Trevi non temono confronti.

Antonio D’Ambrosio
Tratta da “gruppodeiromanisti” 1972

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *