Pifferai e zampognari


Arrivavano a Roma il 25 novembre, giorno di Santa Caterina, era in uso ospitarli nelle case, dove venivano offerti cibo vino e denari (“il cartoccio della padrona”). Spesso erano detti anche “orsanti”, perché portavano con loro degli animali che danzavano, come orsi, scimmiette, cani, uccelli ecc.
La novena si articolava con una introduzione, la cantata, la pastorale ed infine il saltarello.
Nella Roma papalina, delle famiglie erano clienti abituali per generazioni di zampognari, quindi “le poste” dove fare la novena venivano trasmesse di padre in figlio.
Una novena costava 2 “paoli”, finito il periodo natalizio i suonatori riuscivano a guadagnare anche 40 o 50 “scudi”, che per quei tempi era una cifra considerevole e permetteva di passare sette o otto mesi senza lavorare.
I pifferari dovevano attenersi all’obbligo di chiedere un’autorizzazione in questura per poter suonare. Con Roma capitale nel 1870 un’ordinanza revocò le autorizzazioni, e la tradizione della novena scomparve, nonostante le proteste dei romani e dei giornali del tempo.
Nella campagna romana si suonava la zampogna anche durante il periodo del carnevale, le feste patronali, i matrimoni, le osterie, le ottobrate

Tratta da Museo di Roma
incisione di Bartolomeo Pinelli – 1815

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