Coda alla “vaccinara ,, regina del quinto quarto
La coda è l’estremità appendicolare del tronco del bestiame bovinoadulto. La qualifica « vaccinara >> trae titolo da una vecchia denominazione, ora in disuso, attribuita agli operai « scortichini » addetti alla spellatura del bestiame mattato e che erano chiamati « vaccinari ».
Essi, per le loro prestazioni, ricevevano la testa e la coda della bestia spellata, bestia che, senza alcun riferimento al sesso veniva comunemente chiamata «vaccina». Da qui il nome di « vac.cinari ».
Dapprima teste ·e code vennero usate per fare il brodo, che per quanto buono era di colore piuttosto scuro per l’eccessiva presenza di sangue nelle fibre delle carni stesse.
Per le aumentate e sempre crescenti necessità della Capitale, il piccolo e insufficiente mattatoio del Flaminio, fu sostituito da a1tro ben più grande al Testaccia, ove per motivi di lavoro, cercarono di stabilirsi tutti gli operatori interessati, « vaccinari » compresi.
Con il continuo sviluppo della popolazione romana e residente, vi fu un incremento delle macellazioni e di conseguenza anche delle quantità di teste e di code spettanti ai « vaccinari ».
L’aumentata disponibilità di queste carni, rese necessaria una maggiore ·e migliore utilizzazione delle stesse e si dovette ideare qualche cosa di nuovo per un più largo consumo.
Traendo origini dallo stufatino col « sellero », i « vaccinari » sep-
pero creare un piatto ancor più pregiato.
Così nacque a Testaccio, da « vaccinari » buongustai, la famosa coda alla « vaccinara ». Tanto famosa, che per la sua saporosa bontà, riuscì un certo tempo a risolvere un vecchio antagionismo esistente tra i popolani di Trastevere e quelli di Testaccia, come scrisse il compianto e valente romanista Gustavo Brigante Colonna, nell’opuscolo
«Roma gastronomica» pubblicato dall’E.P.T.
Per iniziativa di alcuni volenterosi vi fu un incontro tra trasteverini e testaccini. Dopo lo scambio di qualche frase gentile, questi ultimi invitarono i trasteverini ad una mangiata di coda alla vaccinara in una osteria vicina al mattatoio.
I trasteverini meravigliati dalla bontà di tanto gustosa pietanza, dimenticarono i vecchi rancori e rappacificati, invitarono i testaccini ad una “magnata » in un loro abituale luogo d’incontro nel Trastevere.
Di questo squisito piatto romano che ormai è passato nei fasti
della nostra cucina, offro qui di seguito la ricetta antica, per sei persone:
Dosi: una bella coda (circa 2 kg.) e I kg. di « gaffi » (i « gaffi »
sono le guance dell’animale), in tutto kg. 3; olio, mezzo decilitro;
grasso di maiale (possibilmente di prosciutto), 3 etti; gli odori per fare
l’umido (cipolla, carota, basilico, aglio pochissimo – tritati – e poco
pepe); sale, quanto basta; vino bianco, quanto basta; polpa di pomo-
doro, I kg.; conserva di pomodori, 2 etti; costole di sedano, 6 etti;
uvetta passa senza semi, mezz’etto; pinoli capati, mezz’etto; cioccolato
tipo famiglia finemente grattugiato, l) grammi.
Istruzione: tagliare i rocchi della coda e sciacquarli insieme ai
cc gaffi » anch’essi tagliati a pezzi di circa mezz’etto l’uno. Preparare una pentola d’acqua tiepida, immergere i rocchi della coda· e i pezzi
>. Far rosolare bene e poi coprire tutto col vino
alzando per un po’ di tempo il calore. Far ritirare piano piano il vino
e poi mettere i pomodori e la conserva. Lasciar cuocere lentamente
per almeno cinque ore (si badi che la carne si deve staccare facilmente
dall’osso). Sorvegliare spesso per timore che si asciughi troppo, e se
necessario aggiungere di tanto in tanto un po’ d’acqua calda. Poco
prima della perfetta cottura (circa mezz’ora), mettere le costole di
sedano, la cioccolata, i pinoli e l’uvetta. Poi far riposare a fuoco spento
quanto più è possibile ed indi servirla calda in piatti caldi.
Secondino Freda 1965
Da Strenna dei Romanisti 1965